La vitamina D è scarsamente diffusa in natura ad eccezione di alcuni alimenti di origine naturale quali i pesci grassi (e.g. salmone, aringhe), l’olio di fegato di merluzzo ed il fegato. E’ perciò evidente che l’alternativa alimentare è piuttosto limitata, anche se, al giorno d’oggi, sono presenti in commercio anche cibi fortificati con questa vitamina come per esempio alcuni tipi di latte, latticini, succhi di frutta, cereali, barrette ed alimenti per neonati. Accanto alle fonti alimentari un aiuto proviene dall’esposizione cutanea ai raggi solari, la quale può essere responsabile di una produzione di vitamina D anche al di sopra dei fabbisogni giornalieri. E’ necessario precisare, tuttavia, che una sintesi efficiente di vitamina D avviene soltanto a latitudini comprese tra 40° N e 40° S (e.g. Milano 45°27’ N, Napoli 40°50’ N) e che è notevolmente ostacolata dalla pelle di colore scuro. Benché l’evidenza scientifica ne abbia comunque dimostrato il contributo parziale, l’irradiazione solare costituisce per la maggior parte degli individui la principale fonte di vitamina D. Più precisamente le linee guida suggeriscono un tempo di esposizione solare sulle parti scoperte (viso, collo, braccia, mani, gambe) di circa 4-10 minuti al giorno per i soggetti con carnagione chiara, mentre per quelli aventi la pelle scura, come per esempio gli afroamericani, sono necessari 60-80 minuti al giorno. Inoltre la produzione di vitamina D avviene per lo più durante la primavera e l’estate, in particolar modo tra le ore 10.00 e le 15.00. Queste linee guida concorrono al mantenimento di un valore ottimale di vitamina D con un rischio minimo di sviluppare tumori alla pelle e melanomi, che sono invece incrementati da un’eccessiva irradiazione UV. Infine è opportuno ricordare che le lampade solari generano livelli variabili di raggi UVA e UVB e non risultano tanto efficaci nel favorire la sintesi endogena di vitamina D quanto l’esposizione solare.

La vitamina D, di per sé, è priva di significative azioni biologiche e per risultare attiva, richiede alcune trasformazioni enzimatiche. La prima avviene nel fegato dove il colecalciferolo viene idrossilato a 25-OH vitamina D, ad opera di enzimi mitocondriali, mentre la tappa successiva ha sede renale e consiste in un’ulteriore idrossilazione in posizione 1-α per formare la 1,25-(OH)2, che rappresenta la forma attiva della vitamina D.

La presenza diffusa di recettori per la vitamina D a livello organico la rende più simile ad un vero e proprio ormone piuttosto che ad una semplice vitamina.

La vitamina D, infatti, interagisce con specifici recettori cellulari ed esercita i propri effetti in molti tessuti, se e solo se il suo livello circolante è sufficiente (> 30 ng/mL). Questa vitamina interviene in numerosi meccanismi fisiologici tra cui la regolazione dei geni implicati nel controllo della crescita e differenziazione cellulare, nella modulazione della funzione immunitaria, nel controllo metabolico ed in altre funzioni così come è evidenziato dal seguente elenco:

  • Regolazione del ciclo cellulare
  • Assorbimento intestinale del calcio e rimodellamento osseo
  • Attivazione delle cellule immunitarie e sintesi di molecole anti-microbiche
  • Secrezione dell’insulina dal pancreas
  • Regolazione della pressione arteriosa, della coagulazione e dell’attività cardiaca
  • Crescita ossea e forza muscolare
  • Sviluppo cerebrale

E’ ben noto il ruolo esercitato dalla vitamina D nel metabolismo del calcio. Quando lo stato vitaminico D è nella norma l’intestino tenue assorbe circa il 30% del calcio alimentare, mentre in caso di insufficienza vitaminica l’assorbimento intestinale del calcio avviene attraverso una modalità passiva che limita l’assorbimento complessivo di questo minerale a circa il 10-15% dell’apporto dietetico.

Un livello adeguato di vitamina D è associato ad una migliore condizione di salute e benessere.

Gli studi epidemiologici hanno messo in luce che la carenza di vitamina D è alquanto diffusa nella popolazione dei paesi occidentali, soprattutto in coloro che hanno abitudini alimentari scorrette e trascorrono poco tempo all’aria aperta (e.g. lavoratori d’ufficio, ammalati). Le ricerche cliniche hanno dimostrato che una carenza cronica di vitamina D può causare osteopenia, rachitismo e osteoporosi, la quale colpisce in Italia circa il 23% delle donne ed il 14% degli uomini dopo i 40 e 60 anni rispettivamente. In aggiunta si rende noto che importanti studi scientifici suggeriscono una potenziale correlazione tra bassi livelli di vitamina D e lo sviluppo del tumore al colon-retto ed alla mammella. Ciò potrebbe trovare una possibile spiegazione nel fatto che 1,25 (OH)2D, da un lato, riduce l’angiogenesi e la proliferazione cellulare, dall’altro, favorisce la differenziazione cellulare e l’apoptosi delle cellule cancerose. Infine sussiste un’evidenza clinica crescente anche per quanto riguarda lo sviluppo di: sarcopenia, miopatia dei muscoli prossimali, cancro renale, prostatico, endometriale, ovarico, esofageo, gastrico, pancreatico, vescicale, linfomi di Hodgkin e non, malattie cardiovascolari, diabete di tipo I, tubercolosi, gengivite, malattie periodontali e fratture dentali. Benché sia molto raro, è bene precisare che non solo la carenza, ma anche un abuso di vitamina D può condurre ad un accumulo tossico, che potrebbe causare iper-calcemia, vomito, disidratazione, poliuria e calcificazioni ectopiche.

In conclusione la valutazione della vitamina D riveste un ruolo fondamentale in campo preventivo e terapeutico, la cui importanza non può più essere trascurata.

Presso il Centro di Medicina Biologica è possibile effettuare  il test genetico per la valutazione del polimorfismo del recettore della Vitamina D con  consulto nutrizionale  e  terapia integrata.

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