Non tutti sanno che il grasso non è tutto uguale e che ne abbiamo a disposizione due tipi alquanto differenti tra loro: il tessuto adiposo bianco, comunemente conosciuto, e quello bruno. Ma la storia di quest’ultimo è sorprendentemente recente.

Il tessuto adiposo bruno fu scoperto agli inizi del ‘900 e considerato inizialmente una ghiandola inter-scapolare molto vascolarizzata ed innervata. Allora si credeva che servisse durante l’ibernazione durante l’inverno, ma la sua presenza negli uomini e negli animali che non vanno in letargo suggeriva altre funzioni. Bisognerà aspettare la fine degli anni ’50 affinché il ruolo nella termoregolazione sia riconosciuto dalla comunità scientifica, che ha definito questo tessuto un vero e proprio organo termogenico, cioè produce calore in modo simile ad una stufa personale. Il fatto che la stragrande maggioranza delle persone adulte conservi il grasso bruno e che questo sia apparentemente più attivo durante i mesi invernali suggerisce con forza che sia imputato nella termoregolazione durante tutte le fasi di vita, dal neonato all’adulto.

Quando fa freddo, si sa, compaiono i brividi. Ma se il freddo perdura entra in scena a nostra insaputa il grasso bruno. Volete sapere come? Ebbene, in seguito alla stimolazione fredda l’ipotalamo, una regione del cervello, segnala al grasso bruno di attivarsi attraverso la partecipazione del sistema nervoso simpatico e l’azione della noradrenalina. Da ciò ne consegue un rapido incremento dell’ossidazione dei grassi di riserva per la produzione di calore all’interno dei mitocondri, che sono le fabbriche energetiche delle cellule. In particolare avviene una deviazione della normale respirazione cellulare attraverso l’azione di specifiche proteine (es. UCP1), che convogliano il metabolismo energetico sulla produzione di calore a discapito di quella dell’ATP, la comune moneta di scambio energetico. Per compiere tutto ciò la ricca vascolarizzazione del tessuto è essenziale per il rifornimento dell’ossigeno e per il successivo trasporto del calore al resto del corpo. Si aggiunga che questo sistema è regolato anche dagli ormoni tiroidei e dal sistema nervoso simpatico, i quali agiscono in sinergia per aumentare il potenziale termogenico del grasso bruno. Quest’ultimo, infatti, è notevolmente più attivo nell’iper-tiroidismo, al contrario di ciò che avviene nell’obesità grave.

In una condizione di freddo persistente aumenta il quantitativo di UCP1, la moltiplicazione dei mitocondri, l’ingrandimento e l’espansione del tessuto adiposo bruno, che sono associati ad una migliore condizione di salute. In merito è stato dimostrato che la prevalenza e l’attività del grasso bruno è minore nelle persone obese e, considerando il ruolo di questo tessuto nel metabolismo, una sua espansione o iper-attivazione potrebbe contrastare l’obesità e la resistenza insulinica. Non è un caso che al giorno d’oggi questo tessuto sia al centro dell’attenzione scientifica impegnata nella ricerca di potenziali terapie per l’obesità e le malattie ad essa collegate.

Concludendo si può affermare che non tutto il grasso è negativo. Per salvaguardare il grasso bruno ad azione protettiva bisogna valutare i fattori coinvolti come l’alimentazione, le alterazioni ormonali (es. tiroide) e del sistema nervoso autonomo, le malattie croniche, la sedentarietà prolungata ed i disturbi del ritmo circadiano.

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Bibliografia essenziale:

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