La nostra salute non è dovuta soltanto al nostro corpo ed al piccolo spazio che ci circonda, ma è in continua interazione con l’ambiente esterno che ci racchiude. In special modo uno dei cambiamenti più importanti che è avvenuto nel corso degli ultimi secoli riguarda il contesto naturale ed ecologico. Questo argomento non è un qualcosa di lontano o di astratto, bensì è un tema che dovrebbe interessare tutti, e molto più da vicino di quanto si pensi, poiché ciò che accade nella biodiversità naturale si ripercuote necessariamente anche su di noi. Quali sono le conseguenze sulla salute?

Che cos’è la biodiversità?

La biodiversità è per definizione la variabilità all’interno di un territorio degli organismi viventi appartenente a tutte le specie, forme ed habitat tra cui quelli terrestri, aerei, acquatici e marini. Purtroppo la biodiversità totale sul pianeta si sta riducendo molto velocemente e causando una riduzione degli habitat naturali, che danneggiano non solo la flora e la fauna ma anche la nostra salute. In particolare l’urbanizzazione, la cementificazione e la spoliazione naturale a favore delle attività agricole rappresentano le principali minacce per la salute e la biodiversità.

Gli effetti sulla salute

Uno dei fattori causati dalla riduzione degli habitat naturali riguarda il microbiota gastrointestinale, cioè l’insieme di microrganismi che abitano normalmente il nostro tratto gastrointestinale. È importante tenere a mente che, tra le diverse funzioni cui partecipa, il microbiota è particolarmente importante per la maturazione del sistema immunitario ed il funzionamento digestivo.

Non tutti sanno che la diversità del microbiota è fortemente collegata non solo allo stile di vita e all’alimentazione, ma anche all’esposizione ambientale. Le persone che vivono in spazi urbanizzati e industrializzati tendono ad avere minori opportunità di entrare in contatto con microrganismi benefici attraverso l’aria, la pelle e gli alimenti naturali. Viceversa, l’inquinamento antropico e la minore esposizione alla natura sono associati ad un maggiore rischio di disbiosi intestinale e problematiche allergiche.

La biodiversità è essenziale per la salute ed il benessere di tutte le specie viventi, uomo incluso.

Inoltre, gli habitat naturali estesi riducono vari agenti di disturbo per l’organismo come per esempio il rumore, il caldo e l’inquinamento atmosferico o elettromagnetico. In generale gli spazi con una maggiore biodiversità sono associati ad un miglior benessere psicologico e ad una qualità di vita più elevata rispetto a ai territori più cementificati e costruiti. Un aspetto importante da considerare è che non basta la quantità degli spazi verdi, ma anche la loro qualità, cioè come reali habitat in cui le piante, gli animali e le altre specie possono vivere in modo indisturbato. Perciò per avere effetti positivi sulla salute non basta avere un bel prato uniforme di erba verde, bensì un territorio ricco di specie animali e vegetali di ogni forma. Ad ogni modo è ovviamente importante la prossimità a queste zone, che devono essere di una grande estensione o meglio incontaminate.

Quali pericoli e fattori di rischio?

È ormai chiaro che le principali malattie contemporanee possono essere definite malattie della civiltà e della tecnologizzazione. In poche parole la depredazione dei territori, la non tutele degli ambienti naturali, l’industrializzazione, la dispersione di sostanze tossiche ed il consumo eccessivo di qualsiasi bene si stanno rivoltando contro di noi mettendo a serio rischio la nostra salute collettiva. Di fatto, pur a parità di uno stile di vita salutare, vivere in tali contesti urbanizzati ed industrializzati è collegato a pericoli rilevanti per l’organismo.

D’altra parte un numero crescente di studi mostra che un contatto frequente e rilevante con gli ambienti ‘veramente naturali’ supporta il benessere ed agisce in un’ottica di vera prevenzione della salute. Gli studi mostrano effetti rigeneranti sia dal punto di vista fisico che mentale, oltre a facilitare le interazioni sociali ed i comportamenti prosociali. Ne consegue che le nostre scelte ed i nostri comportamenti, cioè se trascorrere il nostro tempo in spazi urbanizzati ed inquinati, rispetto al contatto con la natura selvaggia, può fare la differenza nel lungo tempo sulla nostra salute.

Attraverso l’evoluzione biologica la vegetazione naturale ha sempre rappresentato una caratteristica dell’ambiente attorno a noi. Nonostante le diffuse aree cementificate ed industrializzate, la specie umana mostra un’innata preferenza per gli spazi naturali, un atteggiamento detto biofilia. Ma tutto ciò è attualmente fortemente sotto minaccia.

La salute personale è inscindibile dall’ambiente ecologico in cui si vive e dalle altre specie viventi.

Per esempio abitare in prossimità di spazi naturali e ricchi di vegetazione è associato ad un minor grado di stress, diabete e malattie cardiovascolari. Inoltre, i bambini che vivono in aree molto verdi mostrano livelli inferiori di disturbi allergici o metabolici. A supporto di queste evidenze alcuni studi recenti suggeriscono che la perdita del verde e la deforestazione correlano con un maggior rischio generale per la salute dei residenti. In sintesi vivere in ambienti artificiali e metropolitani limita il contatto con gli elementi naturali come gli animali, le pianti e la luce solare, i quali mostrano effetti salutari e potrebbero dare una spiegazione dei cambiamenti osservati nell’incidenza di malattie croniche nell’ultimo secolo.

Il ruolo dell’inquinamento

Gli spazi contemporanei delle città sono permeati di sostanze chimiche di sintesi e di inquinanti. Si stima che vengano utilizzate almeno 30.000 chimiche diverse, molte delle quali purtroppo non pienamente studiate dal punto di vista tossicologico. Non è un caso che la maggioranza dei fiumi e dei laghi mostrino una contaminazione da queste sostanze, così come da pesticidi o metalli pesanti. Queste sostanze possono spostarsi anche a grandi distanze al punto tale che praticamente ogni angolo del pianeta ne è più o meno coinvolto.

Per esempio l’inquinamento atmosferico, contenente polveri sottili, solfati, nitrati, benzene ed altro ha un effetto sulla salute paragonabile a quello dell’ipertensione, del fumo e della sedentarietà, oltre ad aggravare le complicanze cardiovascolari e metaboliche in persone già più vulnerabili. In merito diversi studi dimostrano un collegamento tra l’esposizione ai gas di combustione o alle sostanze inquinanti volativi con l’aggravamento dell’aterosclerosi e della trombosi. Ulteriori aspetti che destano preoccupazione riguardano la diffusione di metalli pesanti nell’ambiente e dei cosiddetti interferenti endocrini, inquinanti in grado di influenzare negativamente l’equilibrio ormonale.

Cembio per la detossificazione dell’organismo

Considerando la gravità e gli effetti dell’inquinamento contemporaneo noi del Centro di Medicina Biologica crediamo che questi argomenti debbano essere considerati al pari di veri e propri fattori di rischio per salute. Un accumulo eccessivo di sostanze nocive nell’organismo è in grado infatti di incidere negativamente su numerosi processi biologici e fisiologici tra cui i meccanismi immunitari, neurologici, muscolari, digestivi ed ormonali.

Per i suddetti motivi i nostri specialisti si occupano della valutazione di un’eventuale tossicità nell’organismo e delle cure o dei trattamenti che consentono di promuovere le capacità di detossificazione dell’organismo. Tutto ciò fa sì che le tossine ambientali possano essere neutralizzate, eliminate dalle cellule e finalmente espulse dal corpo. Infine, aiutiamo le persone a prendersi cura della propria salute tramite le indicazioni e le cure più adatte da personalizzare in sede di consulto ed attraverso l’ausilio delle analisi effettuabili presso il nostro Centro.

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Riferimento bibliografici principali:

  • Marselle MR, Lindley SJ, Cook PA, Bonn A. Biodiversity and Health in the Urban Environment [published correction appears in Curr Environ Health Rep. 2021 Sep;8(3):266]. Curr Environ Health Rep. 2021;8(2):146-156;
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  • Bhatnagar A. Environmental Determinants of Cardiovascular Disease. Circ Res. 2017;121(2):162-180.
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