La nutrigenetica è un ramo della Scienza della Nutrizione, che si occupa delle complesse relazioni tra il DNA e la risposta nutrizionale e metabolica. Essa nasce grazie alle scoperte nel campo della genetica, che ha fatto enormi passi avanti nella comprensione degli aspetti genetici collegati alla salute, tra cui l’alimentazione e la nutrizione. In generale lo studio del DNA sta rivoluzionando l’intera medicina aprendo le porte alla cosiddetta Medicina di Precisione. In questo articolo vedremo un semplice esempio dell’applicazione della nutrigenetica nella personalizzazione delle strategie nutrizionali.

Introduzione breve al DNA

Il DNA ha la forma di una doppia elica ed è costituito da una lunga sequenza di lettere, dette nucleotidi, di cui ne esistono 4 tipi differenti: adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (A). A seconda di come questi nucleotidi si dispongono in sequenza l’uno dopo l’altro il DNA codifica al proprio interno un “messaggio” o meglio le informazioni fondamentali per dare origine, sviluppare ed organizzare le forme viventi. In breve il materiale genetico fatto dal DNA può essere rappresentato come un gigantesco database, in cui sono scritte in codice le istruzioni per la vita.

L’insieme del DNA prende il nome di genoma, che a sua volta può essere suddiviso in piccole unità chiamate geni, che non sono nient’altro che una sequenza di DNA funzionale alla sintesi di molecole importanti, soprattutto gli enzimi. Una volta prodotti sulla base delle istruzioni genetiche le proteine enzimatiche effettuano le loro specifiche funzioni presso ogni reazione biochimica o processo biologico. Ma lo stesso gene non è necessariamente uguale tra due persone ed esistono delle piccole varianti, dette polimorfismi genetici a singolo nucleotide (SNP), la cui importanza nel campo della salute è messa sempre di più in collegamento con la salute e lo stato nutrizionale.

DNA nutrizione

Cominciamo soffermandoci sul ruolo di alcuni nutrienti essenziali come le vitamine. Le vitamine del gruppo B svolgono un ruolo importante in molti processi fisiologici e forniscono gli elementi necessari per la crescita delle cellule. Ricordiamo in merito che la maggior parte delle cellule del corpo non sono statiche, ma si rinnovano costantemente nel tempo. Inoltre le vitamine B mettono a disposizione alcune molecole importanti per la protezione del materiale genetico evitando in tal modo che il DNA venga danneggiato. Sempre nell’ambito del genoma queste vitamine aiutano a sintetizzare nuovo DNA nelle cellule e sono coinvolte nell’epigenetica, che comprende i meccanismi responsabili dell’accensione o spegnimento dei geni. Qui un aspetto chiave è quello della metilazione, che trasferisce piccoli gruppi metilici, cioè un carbonio unito a tre atomi di idrogeno (CH3), da una molecola ad un’altra ricevente. Questi meccanismi mediati dalle vitamine B sono cruciali per la metilazione e per la produzione del DNA.

La genetica è uno dei fattori chiave della personalizzazione delle terapie.

Tra i numerosi geni coinvolti in questi processi spicca per importante il gene MTHFR, che codifica per un enzima importante detto Metilenetetraidrofolato Reduttasi. La Metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione del 5-10-Metilentetraidrofolato in 5-Metiltetraidrofolato, il quale serve come donatore di metili (gruppo -CH3) per la metilazione della omocisteina a metionina tramite l’intervento della vitamina B12. Questo enzima è un fattore chiave del metabolismo dei folati, in quanto permette di indirizzare i folati contenuti nell’alimentazione verso la sintesi del DNA o la ri-metilazione dell’omocisteina, che è biomarker del rischio cardiovascolare.

Esiste un polimorfismo presente nel 5-15% delle popolazioni, che prevede la sostituzione della citosina in timina alla posizione 677 del gene MTHFR. Questo SNP provoca la riduzione della stabilità e della funzionalità enzimatica di MTHFR esponendo ad un maggior fabbisogno di folati in caso di un’alimentazione poco equilibrata. Inoltre, se la dieta è carenziale, essere portatori della variante T/ influenza la produzione di omocisteina, colina e la metilazione epigenetica del DNA.

I polimorfismi genetici influenzano numerosi aspetti dello stato nutrizionale.

Un altro esempio riguarda lo stress ossidativo ed i radicali liberi, i quali sono delle molecole prodotte naturalmente dalle reazioni metaboliche del corpo. I radicali liberi sono altamente reattivi con altre molecole a tal punto da poter danneggiare le proteine, il DNA e le membrane cellulari. D’altra parte gli antiossidanti interagiscono con i radicali liberi neutralizzando la loro reattività o mettendo fine alle loro reazioni ossidanti. Gli antiossidanti si trovano naturalmente nell’organismo sotto forma di enzimi, ma possono essere consumati in un ampio spettro di cibi, specialmente quelli provenienti dal mondo vegetale. Ad ogni modo il ruolo principale delle nostre difese antiossidanti è svolto proprio dagli enzimi endogeni. Tra questi c’è l’enzima MnSOD codificato dal gene SOD2, che è localizzato sul 6° cromosoma.

Enzimi antiossidanti

La superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD) è un enzima chiave delle capacità antiossidanti dell’organismo ed è localizzato all’interno di un organello cellulare, denominato mitocondrio, in cui catalizza la conversione dei radicali Superossido O2– in ossigeno e perossido di idrogeno (H2O2, la comune acqua ossigenata). È stato scoperto un polimorfismo (-28 C>T), che è diffuso nel circa 50% della popolazione caucasica ed influenza la distribuzione intra-cellulare dell’enzima.

Le differenze genetiche sono alla base delle caratteristiche cellulari e fisiologiche.

La presenza del polimorfismo genetico determina la presenza di un’attività enzimatica non perfettamente efficiente ed a livelli più alti di molecole ossidanti, il che richiede di porre attenzione all’apporto nutrizionale di antiossidanti per evitare di incorrere in forme di stress ossidativo. Inoltre i portatori omozigoti (T/T) sono a maggior rischio di intolleranza agli zuccheri, diabete e delle sue complicanze vascolari, oltre ad avere una vulnerabilità più elevata al colesterolo ossidato, che a sua volta è correlato alle malattie cardiovascolari.

Metabolismo degli zuccheri

Come ulteriore esempio approfondiamo il concetto di resistenza insulinica, che può essere definita come l’incapacità da parte dell’ormone insulina di stimolare l’ingresso degli zuccheri del sangue da parte dei tessuti sensibili quali i muscoli ed il fegato. In seguito a questa condizione il pancreas è obbligato a secernere una maggiore quantità di insulina al fine di mantenere l’equilibrio glicemico, ma con il tempo questa compensazione tende a venire meno aprendo le porte alle malattie metaboliche. Accanto ai fattori imprescindibili legati allo stile di vita, le evidenze genetiche hanno messo in luce anche fattori genetici nello sviluppo della resistenza insulinica e del diabete.

Tra questi possiamo citare la scoperta di un polimorfismo a carico del gene TCF7L2, che codifica per un fattore di regolazione chiave dell’espressione genetica. In particolare TCF7L2 decide quali geni coinvolti nel metabolismo degli zuccheri debbano essere attivi ed espressi. Inotre il gene TCF7L2 codifica per una proteina che agisce sia come induttore che come inibitore dell’espressione genica non solo nel pancreas, ma anche in altri tessuti sensibili all’insulina tra cui il fegato ed il tessuto adiposo. Lo studio di questo polimorfismo ha portato alla scoperta che avere questa variante genetica contribuisce negativamente sul buon funzionamento dell’ormone insulina. In particolare questo SNP determina disfunzioni anatomiche a carico delle cellule beta del pancreas, che sono le cellule responsabili della sintesi e del rilascio insulinico. I risultati degli studi mostrano che il polimorfismo su TCF7L2 è fortemente associato ad un maggior rischio di diabete di tipo II e di quello gestazionale, oltre ad influenzare la risposta ai carboidrati ed ai grassi in eccesso.

L’analisi del DNA consente di valutare i fattori genetici di suscettibilità e di protezione per la salute.

Gli esempi descritti sono solo alcuni dei tanti aspetti di come la nutrigenetica sta personalizzando l’approccio alle terapie nutrizionali ed alle diete. Ma non finisce certamente qui, perché vengono individuati sempre più polimorfismi che hanno un impatto su molteplici processi biologici e fisiologici come per esempio le intolleranze alimentari (es. lattosio, caffeina, alcool), la capacità antiossidante, il dispendio energetico, l’assorbimento ed il metabolismo dei nutrienti. È opportuno sottolineare, tuttavia, che non è possibile scindere il contributo della genetica da quello dell’ambiente (e viceversa), ma bisogna tenerli entrambi in considerazione quando si affronta il campo della salute e della prevenzione. Ne consegue che la salute è influenzato non solo dal DNA, ma soprattutto dai comportamenti e dallo stile di vita nel suo complesso.

Inoltre i polimorfismi genetici non esercitano i loro effetti in modo isolato gli uni dagli altri, bensì interagiscono tra loro in modo complesso. A titolo di esempio due persone con lo stesso polimorfismo “sfavorevole” possono avere una diversa combinazione di altre varianti genetiche, che determina effetti e risposte nutrizionali differenti. Oppure possono esserci sintomi o fattori clinici, che interagiscono in modo diverso a seconda del proprio genotipo. Per questi motivi è bene rivolgersi ad uno specialista al fine di valutare ed interpretare correttamente i test genetici e formulare la terapia in modo personalizzato.

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