La sindrome della fatica (o stanchezza) cronica non ha una causa unica ed univoca alla base dei sintomi e può avere alle spalle diversi fattori di rischio e di mantenimento, tra cui quelli relativi alla personalità, alle emozioni ed al contesto affettivo e relazionale in cui è inserita la persona. L’importanza di questi aspetti nella cura globale di questa sindrome, come facciamo presso il Cembio, è il tema del seguente articolo.

Sindrome da stanchezza cronica: concetti chiave

La stanchezza è un’esperienza universale e talvolta è un sintomo, anche se di non facile definizione. Generalmente viene definita come l’incapacità di generare una forza massimale durante l’attività muscolare. Ad ogni modo trattasi di una percezione soggettiva, che può essere influenzata sia da cause mediche che da fattori psicologici.

Per essere definita sindrome da stanchezza cronica la fatica deve essere persistente da almeno 6 mesi, pervasiva durante il giorno, aggravata dall’esercizio fisico e mentale, oltre a non trovare giovamento in seguito al riposo. Oltre alla stanchezza sono caratteristici anche i disturbi del sonno, dolori muscolari, cefalea, mal di gola e difficoltà a mantenere la concentrazione o a ricordare le cose. Non esiste un’unica causa di questa sindrome, la quale pertanto è multifattoriale e può coinvolgere aspetti sia fisici, sia psicologici che quelli legati alle relazioni con gli altri.

Ulteriori aspetti da considerare

La sindrome da fatica cronica è caratterizzata da un senso di forte spossatezza, che non è attribuibile a chiare cause o diagnosi mediche o psichiatriche. Ad ogni modo essa è accompagnata da alti livelli di disabilità. Se ne stima una prevalenza generale nella popolazione tra il 0,2 ed il 2,6%. Nello sviluppo di questa sindrome si ipotizza che in seguito ad una malattia iniziale la persona non riesca a recuperare la condizione originaria, ma vada incontro a varie disfunzioni psicofisiche tra cui quelle relative ai dolori muscolari, all’apparato cardiocircolatorio, al sonno, alla capacità di concentrazione ed a quelle cognitive.

L’importanza del benessere psicologico

Una percentuale non trascurabile di casi non mostra chiari e rilevanti segni biologici o alterazioni nelle analisi mediche. In tali frangenti questo disturbo può pertanto riferirsi alla cronicizzazione di aspetti di natura più psicofisici, cioè dovuti alle interazioni tra le emozioni, i pensieri, i comportamenti ed il corpo. In merito la sindrome da stanchezza cronica è frequentemente associata a disagio psicologico relativo al tono dell’umore, alle abitudini comportamenti, alla qualità ed intensità degli affetti. Si stima che almeno un caso su tre mostrano aspetti psicopatologici, soprattutto in chiave depressiva, ma anche disturbi d’ansia e somatizzanti.

In particolare la depressione e la sindrome da stanchezza cronica condividono alcuni sintomi tra cui la stanchezza, le problematiche relative al sonno, alla memoria ed alla concentrazione. Si ipotizza infatti che entrambe queste condizioni possano far parte di uno stesso spettro patologico, seppur con caratteristiche distinte. La sindrome da stanchezza cronica non è tuttavia associabile ad una vera e propria depressione maggiore, bensì ad una forma atipica in cui il focus, più che sull’alterazione dell’umore e sulla colpa, è riferito ai sintomi corporei. In ogni caso l’attribuzione delle cause a fattori esterni alla propria persona (es. disturbi immunitari, infezioni) può essere vissuto in modo intenso, incontrollabile, combattuto e con l’esacerbazione dell’ansia, dei sintomi fisici e della stanchezza. Tutto ciò rende perciò queste persone più vulnerabile ai cambiamenti verso il basso del tono dell’umore compromettendo il senso di salute generale della persona.

Il ruolo della mente, delle emozioni e degli affetti

Secondo diversi studi, oltre ai fattori propriamente fisici-biologici, gli aspetti mentali, emotivi e comportamentali sono risultati importanti per il mantenimento e l’aggravamento dei sintomi. Tra cui per esempio le credenze, le risposte emotive e la capacità di calibrare opportunamente i tempi di riposo con quelli richiedenti sforzo. In aggiunta, le persone con questa sindrome sperimentano frequentemente uno stigma sociale e minori opportunità di avere rapporti sociali con le altre persone, il che con il tempo è associato a ripercussioni negative sul benessere e sullo stress.

Alcuni sintomi possono più dipendere dalle persone significative attorno alla persona piuttosto che da chiari eventi biomedici, come per esempio quando vi è disaccordo sui sintomi e su come gestirli all’interno di una coppia. Non sorprende infatti che tutto ciò abbia un impatto sulla qualità del supporto percepito. Non a caso si osserva che conflitti, tensioni e difficoltà relazionali sono frequentemente riportate, così come eventualmente un sentimento di colpa o di vergogna.

Il benessere emotivo ed il coinvolgimento sociale sono protettivi sulla fatica e sui sintomi.

Gli studi hanno evidenziano una generale tendenza a preferire le cause fisiche per spiegare i sintomi e ad attribuire al corpo tutti i sintomi diagnostici, persino quelli che non hanno mai neanche provato. D’altra parte sono spesso gli amici o i partner a notare possibili collegamenti con lo stress, il disagio emotivo o il sovraccarico lavorativo. La gravità dei sintomi tende ad essere tanto più alta quanto più bassa è la qualità della relazione affettiva, oppure qualora la relazione sia conflittuale, poco empatica o comprensiva della malattia. Talvolta all’interno delle famiglie vi possono essere comportamenti o abitudini controproducenti ed in grado di esasperare persino il sintomo della fatica.

Benché i disturbi psicologici tendano ad essere una conseguenza della sindrome, le risposte affettive, cognitive e comportamenti sono coinvolte nella perpetuazione dei sintomi, oltre all’evidenza secondo cui lo stato di salute e di benessere e la fatica si aggravano man mano che aumentano gli aspetti depressivi dell’umore. Ne consegue che in caso di fatica ormai cronicizzata la risoluzione del disturbo beneficia non soltanto delle cure biomediche, ma anche dalla gestione dei fattori cognitivi, emotivi e relazionali, che ostacolano il recupero e sovraccaricano i meccanismi di regolazione dell’organismo.

Approccio globale per la sindrome della fatica cronica

Presso il Centro di Medicina Biologica affrontiamo la sindrome della fatica cronica secondo un’ottica sistemica e multidisciplinare, consapevoli del fatto che una condizione di forte spossatezza e di malessere psicofisico si influenzano reciprocamente. Per questi motivi riteniamo importante considerare anche i fattori più interiori e psicorelazionali che, come ormai è stato dimostrato, influenzano l’umore e la percezione della stanchezza e dei dolori muscolari. In conclusione presso il nostro Centro teniamo molto alla valutazione ed alla gestione delle abitudini comportamentali (es. sonno, fumo), della modulazione emotiva e cognitiva attraverso consulti specialistici e le diverse proposte terapeutiche che offriamo.

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Riferimento bibliografici principali:

  • Craig KD, Holmes C, Hudspith M, Moor G, Moosa-Mitha M, Varcoe C, Wallace B. Pain in persons who are marginalized by social conditions. Pain. 2020 Feb;161(2):261-265;
  • Kohrt BA, Griffith JL, Patel V. Chronic pain and mental health: integrated solutions for global problems. Pain. 2018 Sep;159 Suppl 1(Suppl 1):S85-S90;
  • Band, R., Wearden, A., & Barrowclough, C. (2015). Patient outcomes in association with significant other responses to chronic fatigue syndrome: A systematic review of the literature. Clinical Psychology: Science and Practice, 22(1), 29–46.
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